Ricordo che nel momento in cui abbiamo pianificato la nostra vacanza a Cracovia per me era una tappa obbligata. Per molte persone è difficile e preferiscono evitare, ma per quanto mi riguarda mai per un secondo ho dubitato della mia scelta.

Il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau non è un luogo che “vorreste” visitare, ma è un luogo che dovreste visitare almeno una volta nella vita.

Il cielo è insolitamente soleggiato mentre il nostro autobus trova posto nel parcheggio. Mentre mangiamo un panino il tour leader ci comunica le indicazioni necessarie prima di smistarci nei gruppi suddivisi per lingua.

Dopo aver preso le nostre cuffiette, la prima tappa è un cinema, in cui viene proiettato un filmato sul campo, con immagini purtroppo già note e dure, in grado di trafiggerti mille e una volta, e mentre le prime lacrime iniziano a scendere ti lasciano lì a chiederti come sia stato possibile il verificarsi di un periodo così cupo della storia come questo.

Una volta terminato il filmato, con uno dei messaggi più importanti ancora in mente “Grazie per il tuo coraggio e per la tua voglia di commemorare questo luogo”, e raggiunto il gruppo a noi designato iniziamo ufficialmente il tour.

Si tratta di un luogo quasi surreale. Mentre varchiamo i cancelli di Birkenau, sotto la temibile scritta “Arbrech Macht Frei” (il lavoro rende liberi) che abbiamo visto in tutti i libri di storia, l’esperienza diventa più reale e vieni trasportato quasi in un altro universo, così distante ma allo stesso tempo così palpabile e in grado di lasciarti delle emozioni confuse.

È impossibile descrivere ciò che accade una volta in quel luogo. La mente non può che vagare alla ricerca di quei fantasmi del passato, cosa abbiano provato, il terrore, la paura, e le speranze affievolirsi. Ma nessuna delle sensazioni provate potrà mai avvicinarsi alla realtà.

La brezza che caratterizza la giornata sembra trasportare questo turbinio di emozioni, lì dentro e fuori e oltre il filo spinato e sopra le costruzioni tutti identiche con un rigore quasi spettrale, come una melodia impercettibile, ma costantemente presente.

Visitare Auschwitz-Birkenau

Probabilmente avrete studiato a scuola la Seconda Guerra Mondiale, avrete visto film sull’Olocausto o avrete letto libri come “il bambino con il pigiama a righe” o il “diario di Anna Frank” e come, avrete sicuramente appreso a scuola dell’esistenza del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, luogo di uno dei più grandi omicidi di massa della storia.

Ma lascia che ti confidi una cosa: nessun libro o film sarà mai in grado di descrivere questo luogo.

Dopo aver varcato i cancelli del campo vieni trasportato in un altro mondo.

All’interno del campo furono uccise più di un milione di persone, non solo ebrei ma anche polacchi, ungheresi, zingari e chiunque fosse abbastanza sfortunato da attirare l’attenzione dei nazisti.  Auschwitz: il solo nome è sinonimo di orrori. Orrori compiuti da essere umani verso altri esseri umani.

Accadde tutto quando i tedeschi occuparono la città di Oświęcim, in precedenza base dell’esercito polacco, e la trasformarono nel luogo che oggi conosciamo. Vi costruirono tre campi: Auschwitz I, Auschwitz II-Birkenau, e Auschwitz III-Monowitz (dove fu rinchiuso lo scrittore Primo Levi).

Ad oggi, due di questi sono stati trasformati in un museo, ovvero un memoriale per tutti coloro che vi abbiano perso la vita.

Auschwitz II-Birkenau

Si tratta del campo più grande, costruito nel 1941 per ospitare fino a 200.000 prigionieri ed è il luogo in cui è possibile percepire la portata degli orrori compiuti in questo periodo buio della storia umana.

All’arrivo saltano immediatamente all’occhio il paesaggio arido e desolato, le linee di recinzioni di filo spinato e le numerose torri di guardia, nate per limitare tutte quelle libertà per cui nessuno di noi ha mai pensato mai penserà di dover combattere. Il solo soffermarsi a riflettere su questo non è in grado di descrivere la portata del dolore che quelle persone abbiano provato.

Il binario ferroviario al centro del campo è testimone di quei momenti in cui avveniva la selezione tra i prigionieri in cui veniva deciso chi sarebbe sopravvissuto e chi sarebbe morto.

Nonostante la maggior parte degli edifici del campo siano stati distrutti nel 1945 quando i nazisti – all’avvicinarsi dell’esercito sovietico – cercavano di nascondere le prove di ciò che avevano fatto , Birkenau rimane comunque un luogo indescrivibile.

Mentre scrivo sento ancora il peso della sua presenza. Che parole dovrei usare per descrivere cosa si prova ad entrare in una delle camere a gas? O per descrivere cosa si prova a vedere cumuli di affetti personali delle persone che purtroppo hanno visto la loro vita terminare senza un valido motivo?

Come potrò mai riuscire a porgere il dovuto rispetto ad un luogo del genere?

Nessuno di noi potrà mai davvero riuscire ad immaginare cosa significhi lavorare per 12 ore al giorno con vestiti sottili nel freddo, nell’umidità, il combattere contro malattie, stanchezza, abusi o semplicemente per la nostra vita.

Visitare Birkenau non è come visitare un qualsiasi museo. È bensì un luogo di riflessione, in cui si viene lasciati soli con i propri pensieri, in cui ognuno di noi prova a dare un senso agli orrori accaduti.

Auschwitz I

Il campo di Auschwitz I nacque come caserma dell’esercito polacco, convertita in campo di prigionia per i prigionieri politici nel 1940. Molto del primo e più piccolo campo nazista è stato conservato, a partire dal cancello d’ingresso dove la scritta “Arbeit macht frei” è scolpita nel ferro battuto. Il lavoro vi renderà liberi”: un’orribile ironia nel luogo in cui tante persone sono venute a morire.

Si può camminare tra le file di capanne in mattoni del campo, ognuna delle quali aveva una funzione diversa. C’è la capanna 20, il cosiddetto “ospedale”, che era più che altro un laboratorio dove medici come il dottor Mengele usavano i prigionieri come cavie per sperimentare modi diversi di ucciderli in modo più efficiente. C’è la Capanna 11, la prigione nella prigione, dove le guardie escogitavano nuovi e più orribili modi per torturare i prigionieri che osavano ribellarsi: per fame, per soffocamento o per essere costretti a stare in una minuscola cella di un metro quadrato per giorni.

La cosa più straziante sono le pile di effetti personali – le enormi pile di valigie, scarpe, tazze e ciotole che la gente portava con sé quando pensava di essere solo mandata a lavorare e che un giorno sarebbe tornata a casa.

Poi ci sono le inquietanti pile di bicchieri, gambe di legno e capelli umani. Prendendo i vestiti, gli effetti personali e rasando i capelli delle persone, i nazisti le hanno spogliate della loro umanità. Ma camminando lungo i corridoi delle baracche si possono vedere linee di volti che ci guardano dall’alto. Nei primi giorni del campo i nuovi arrivati venivano fotografati e registrati, fino a quando il numero non diventava troppo grande per poterlo seguire.

Guardando nei loro occhi, si può vedere un misto di paura, orrore e sfida. Vedere i loro volti, leggere i loro nomi, le loro nazionalità, età e occupazioni riporta l’umanità alle persone che sono state disumanizzate. Aiuta a tradurre numeri astratti in persone reali.

Non si può fare a meno di immaginare come avreste affrontato la situazione se foste stati lì al loro posto: la fame, il freddo e le malattie vi avrebbero fatto fuori prima della camera a gas, o sareste stati tra i pochi che ce l’hanno fatta? Perché tra tutto l’orrore ci sono storie di sfida e di sopravvivenza, di persone che ce l’hanno fatta nonostante le probabilità.

Auschwitz pone tante domande quante risposte. E quella più importante è: è giusto che migliaia di visitatori – dagli addii al celibato alle scolaresche – visitino un luogo in cui sono morte così tante persone? Per me è stata un’esperienza cupa che è stato difficile scrollarsi di dosso, ma che era così importante fare.

Come dice una citazione ad Auschwitz: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”.

Guardando i campi a 70 anni di distanza, è difficile per noi immaginare come ciò sia potuto accadere. Ma in un mondo ancora pieno di odio, è davvero così impossibile? Visitare Auschwitz-Birkenau e vedere di persona questi luoghi è un’esperienza che non si dimenticherà mai, un’esperienza da portare con sé e da tenere come talismano che non accadrà mai più.

Informazioni pratiche

Il Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau si trova a circa 65 km da Cracovia, ai margini della città di Oświęcim. Il sito è aperto dalle 7.30 del mattino tutti i giorni, con l’ultimo orario di ingresso che varia durante l’anno (dalle 14.00 in dicembre alle 19.00 in giugno, luglio e agosto), mentre l’orario di chiusura è 90 minuti dopo. L’ingresso al sito è gratuito: è possibile prenotare un biglietto a tempo con o senza visita guidata sul sito web.

Ci sono diverse opzioni per raggiungere Auschwitz-Birkenau e visitare il sito. Se volete visitarlo in modo indipendente, potete prendere il treno da Kraków Glowny (la stazione ferroviaria principale della città) a Oświęcim, la stazione si trova a 2 km dal campo, quindi è raggiungibile a piedi in 25 minuti, oppure si può prendere un autobus locale.

Noi abbiamo optato per uno dei tanti tour organizzati presenti all’interno della piattaforma Get Your Guide con pick-up da Cracovia.

È utile avere una guida, soprattutto se non si conosce bene la storia. Quando si arriva ad Auschwitz è possibile partecipare a un tour per piccoli gruppi che dura 3,5 ore ed è gestito in molte lingue diverse. Il costo è di 50 złoty (£10,50) e bisogna prenotare con largo anticipo in alta stagione.

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